Local view for "http://purl.org/linkedpolitics/eu/plenary/2006-10-24-Speech-2-019"
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". – Signor Presidente, onorevoli colleghi, più di duemilacinquecento carri armati contro un popolo inerme, settantacinquemila soldati dell’Armata rossa, migliaia di vittime, più di duemila fucilati dal governo di Kadar installato al potere dai sovietici, dodicimila prigionieri avviati ai
duecentomila profughi: sono queste alcune delle terrificanti cifre che sintetizzano la tragedia di una nazione, ma anche l’inizio della fine di un partito e di una potenza che dominava, a seguito degli accordi ignominiosi e sciagurati di Yalta, la metà del nostro continente.
I primi accenni si ebbero a Berlino nel 1953; poi il grido di libertà a Poznań, in Polonia, nel 1956. Stalin era deceduto da tre anni ma i suoi eredi politici, nonostante il rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica nel febbraio del 1956, che denunciava gli innumerevoli crimini del dittatore georgiano, usarono metodi repressivi e delittuosi, nel timore che il potere sfuggisse loro di mano in Ungheria.
La rivolta si dissolse in un’immensa tragedia. Il governo riformista di Nagy fu spazzato via ed egli fu assassinato. Solo con il crollo del comunismo sovietico si poterono finalmente riabilitare le vittime di quegli anni, che furono chiamate “teppaglia” dai dirigenti comunisti magiari e dal
mente invece erano e sono il simbolo della dignità umana, oppressa da una delle dittature più ottuse e violente che la storia abbia conosciuto. Un’immensa tragedia che ci deve ricordare oggi la negatività di un’ideologia e di una prassi politica, che hanno seminato milioni di vittime nelle regioni del mondo in cui hanno instaurato il loro regime.
Oggi, alcuni di coloro che in quegli anni sostennero le ragioni dei carri armati e delle fucilazioni fanno autocritica e, come sempre, parlano di errori. Omettono tuttavia di parlare del rifiuto di quelle idee che portarono e portano inesorabilmente alla dittatura e all’oppressione. Soltanto il rifiuto e la condanna di queste idee, già franche, ci garantisce un avvenire di libertà. Ricordando la tragedia dell’autunno ungherese, sentiamo una volta di più l’Unione come baluardo contro ogni umiliazione della dignità dell’uomo e dei popoli.
Ricordiamo inoltre che esistono ancora regimi che esercitano un ferreo controllo sulla vita dei loro cittadini e che rappresentano una minaccia per i popoli liberi: dalla Corea del Nord all’Iran e a Cuba, le tante dittature che esistono nel mondo ma ricordiamo anche i pericoli di nuovi integralismi. L’Occidente non scelga mai più il silenzio e l’Europa sia garanzia di libertà e giustizia."@it12
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Signor Presidente, onorevoli colleghi, più di duemilacinquecento carri armati contro un popolo inerme, settantacinquemila soldati dell'Armata rossa, migliaia di vittime, più di duemila fucilati dal governo di Kadar installato al potere dai sovietici, dodicimila prigionieri avviati ai
duecentomila profughi: sono queste alcune delle terrificanti cifre che sintetizzano la tragedia di una nazione, ma anche l'inizio della fine di un partito e di una potenza che dominava, a seguito degli accordi ignominiosi e sciagurati di Yalta, la metà del nostro continente.
I primi accenni si ebbero a Berlino nel 1953; poi il grido di libertà a Poznań, in Polonia, nel 1956. Stalin era deceduto da tre anni ma i suoi eredi politici, nonostante il rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica nel febbraio del 1956, che denunciava gli innumerevoli crimini del dittatore georgiano, usarono metodi repressivi e delittuosi, nel timore che il potere sfuggisse loro di mano in Ungheria.
La rivolta si dissolse in un'immensa tragedia. Il governo riformista di Nagy fu spazzato via ed egli fu assassinato. Solo con il crollo del comunismo sovietico si poterono finalmente riabilitare le vittime di quegli anni, che furono chiamate "teppaglia" dai dirigenti comunisti magiari e dal
mente invece erano e sono il simbolo della dignità umana, oppressa da una delle dittature più ottuse e violente che la storia abbia conosciuto. Un'immensa tragedia che ci deve ricordare oggi la negatività di un'ideologia e di una prassi politica, che hanno seminato milioni di vittime nelle regioni del mondo in cui hanno instaurato il loro regime.
Oggi, alcuni di coloro che in quegli anni sostennero le ragioni dei carri armati e delle fucilazioni fanno autocritica e, come sempre, parlano di errori. Omettono tuttavia di parlare del rifiuto di quelle idee che portarono e portano inesorabilmente alla dittatura e all'oppressione. Soltanto il rifiuto e la condanna di queste idee, già franche, ci garantisce un avvenire di libertà. Ricordando la tragedia dell'autunno ungherese, sentiamo una volta di più l'Unione come baluardo contro ogni umiliazione della dignità dell'uomo e dei popoli.
Ricordiamo inoltre che esistono ancora regimi che esercitano un ferreo controllo sulla vita dei loro cittadini e che rappresentano una minaccia per i popoli liberi: dalla Corea del Nord all'Iran e a Cuba, le tante dittature che esistono nel mondo ma ricordiamo anche i pericoli di nuovi integralismi. L'Occidente non scelga mai più il silenzio e l'Europa sia garanzia di libertà e giustizia."@cs1
"Hr. formand, mine damer og herrer! Over 2.500 kampvogne mod et forsvarsløst folk, 75.000 soldater fra Den Røde Armé, tusindvis af ofre, over 2.000 mennesker, der blev skudt ned af Kádár-regeringen, som Sovjetunionen indsatte, 12.000 fanger, der blev sendt i gulag, og 200.000 flygtninge - det er bare nogle få af de forfærdelige tal, som opsummerer en nations tragedie, men også begyndelsen til enden for et parti og en magt, der efter de modbydelige og forbryderiske Jalta-aftaler dominerede halvdelen af vores kontinent.
De første tegn kom i Berlin i 1953. Herefter fulgte råbet om frihed i Poznań i Polen i 1956. Stalin havde været død i tre år, men på trods af Krustjovs rapport til det sovjetiske kommunistpartis 20. kongres i februar 1956, hvor han kritiserede den georgiske diktators utallige forbrydelser, brugte Stalins politiske arvtagere repressive og kriminelle metoder af angst for, at de skulle miste magten i Ungarn.
Opstanden endte med en stor tragedie. Imre Nagy blev slået ihjel, og hans reformist-regering blev fjernet. Først med sovjetkommunismens sammenbrud kunne man endelig rehabilitere de mennesker, der blev ofre i disse år, og som Ungarns kommunistiske ledere og Kominform kaldte for "rak", men som blot var og er et symbol på den menneskelige værdighed og blev undertrykt af et af historiens mest afstumpede og voldelige diktaturer. Denne store tragedie skal minde os om det negative i denne ideologi og politiske praksis, som har kostet millioner af ofre de steder i verden, hvor dette regime er blevet indført.
I dag ser nogle af dem, der dengang støttede brugen af kampvogne og henrettelser, med andre øjne på deres handlinger og taler som altid om fejltagelser. De undlader dog at tale om de idéer, der uundgåeligt førte og fører til diktatur og undertrykkelse. Kun en klar afvisning og fordømmelse af disse idéer sikrer os en fremtid med frihed. Ved at mindes det ungarske efterårs tragedie bliver vi endnu en gang klar over, at EU beskytter os mod enhver krænkelse af enkeltpersoners og befolkningers værdighed.
Vi skal desuden huske, at der stadig er regimer, som har et jerngreb omkring deres borgeres tilværelse, og som er en trussel mod folks frihed. Det gælder Nordkorea, Iran, Cuba og de mange diktaturer, der eksisterer i verden. Vi skal dog også være opmærksomme på farerne ved de nye fundamentalismer. Vesten må aldrig mere vælge tavsheden, og Europa skal sikre friheden og retfærdigheden."@da2
"Herr Präsident, verehrte Kolleginnen und Kollegen! Über 2 500 Panzer gegen ein wehrloses Volk, 75 000 Soldaten der Roten Armee, Tausende von Opfern, mehr als 2 000 Menschen erschossen von der durch die Sowjets eingesetzten Kádár-Regierung, 12 000 Gefangene in die Gulags verschleppt, 200 000 Flüchtlinge: Das sind einige der erschreckenden Zahlen, die eine nationale Tragödie zusammenfassen, aber auch den Anfang vom Ende einer Partei und einer Macht, die nach den schmählichen und verhängnisvollen Abkommen von Jalta die Hälfte unseres Kontinents beherrschte.
Die ersten Anzeichen gab es 1953 in Berlin, gefolgt von dem Ruf nach Freiheit in Poznań, Polen, 1956. Stalin war seit drei Jahren tot, doch seine politischen Erben griffen trotzt Chruschtschows Bericht auf dem XX. Parteitag der Kommunistischen Partei der Sowjetunion im Februar 1956, der die unzähligen Verbrechen des georgischen Diktators entlarvte, auf repressive und verbrecherische Methoden zurück, da sie fürchteten, dass ihnen die Macht in Ungarn aus den Händen gleiten könnte.
Der Aufstand endete in einer schrecklichen Tragödie. Die Reformregierung von Imre Nagy wurde gestürzt und er selbst hingerichtet. Erst mit dem Untergang des Sowjetkommunismus war es schließlich möglich, die Opfer der damaligen Zeit zu rehabilitieren. Von den ungarischen Kommunisten und vom Kominform als „Pöbel“ bezeichnet, waren und bleiben sie doch in Wahrheit ein Sinnbild für die Menschenwürde, die von einer der gefühllosesten und brutalsten Diktaturen der Geschichte unterdrückt wurde. Diese unermessliche Tragödie muss uns heute an die Negativität einer Ideologie und einer politischen Praxis erinnern, die Millionen von Opfern in den Gebieten der Welt hinterließen, in denen das Regime errichtet wurde.
Einige von denen, die damals den Einsatz von Panzern und die Hinrichtungen rechtfertigten, üben heute Selbstkritik und sprechen wie immer von Fehlern. Sie sprechen allerdings nicht davon, dass sie die Ideen, die damals wie heute unweigerlich zu Diktatur und Unterdrückung führen, ablehnen würden. Doch nur die völlig offene Ablehnung und Verurteilung dieser Ideen kann uns eine freiheitliche Zukunft garantieren. Indem wir der Tragödie des ungarischen Herbstes gedenken, wissen wir die Union einmal mehr als Bollwerk gegen jede Erniedrigung der Würde des Menschen und der Völker zu schätzen.
Wir rufen außerdem in Erinnerung, dass es immer noch Regime gibt, die das Leben ihrer Bürger in einem eisernen Griff halten und eine Bedrohung für die freien Völker darstellen: die vielen Diktaturen in der Welt, von Nordkorea über Iran bis hin zu Kuba. Doch wir erinnern auch an die Gefahren der neuen Formen des Fundamentalismus. Möge sich der Westen nie wieder für das Schweigen entscheiden, und möge Europa ein Garant für Freiheit und Gerechtigkeit sein."@de9
".
Κύριε Πρόεδρε, κυρίες και κύριοι, πάνω από 2.500 άρματα μάχης εναντίον ενός άοπλου λαού, 75.000 στρατιώτες του Κόκκινου Στρατού, χιλιάδες θύματα, πάνω από 2.000 εκτελεσθέντες από την κυβέρνηση του Κάνταρ που διόρισαν οι Σοβιετικοί, 12.000 κρατούμενοι που μεταφέρθηκαν στα γκούλαγκ και 200.000 πρόσφυγες: είναι μερικοί τρομακτικοί αριθμοί που συνοψίζουν την τραγωδία ενός έθνους, αλλά και την αρχή του τέλους ενός κόμματος και μιας δύναμης που δυνάστευε τη μισή μας ήπειρο μετά την επαίσχυντη και ολέθρια Συμφωνία της Γιάλτας.
Τα πρώτα σημάδια φάνηκαν στο Βερολίνο το 1953. Ακολούθησε η κραυγή ελευθερίας στο Πόζναν της Πολωνίας το 1956. Ο Στάλιν είχε πεθάνει πριν από τρία χρόνια, αλλά, παρά την εισήγηση του Χρουστσόφ στο 20ό Συνέδριο του Κομουνιστικού Κόμματος της Σοβιετικής Ένωσης τον Φεβρουάριο του 1956, με την οποία κατήγγειλε τα αναρίθμητα εγκλήματα του γεωργιανού δικτάτορα, οι πολιτικοί του διάδοχοι εφήρμοσαν κατασταλτικές και εγκληματικές μεθόδους φοβούμενοι την απώλεια της εξουσίας στην Ουγγαρία.
Η εξέγερση κατέληξε σε μια τεράστια τραγωδία. Η μεταρρυθμιστική κυβέρνηση του Nagy κατέρρευσε και ο ίδιος δολοφονήθηκε. Μόνο μετά την πτώση του σοβιετικού κομουνισμού μπόρεσε να αποκατασταθεί η μνήμη των θυμάτων εκείνης της περιόδου, τα οποία οι ηγέτες της Ουγγαρίας και της Kominform αποκαλούσαν «υπόκοσμο», ενώ στην πραγματικότητα ήταν και παραμένουν το σύμβολο της ανθρώπινης αξιοπρέπειας ενάντια στην καταπίεση μιας από τις πλέον σκληρές και βίαιες δικτατορίες που γνώρισε ποτέ η Ιστορία. Μια τεράστια τραγωδία, η οποία πρέπει να μας υπενθυμίζει σήμερα το αρνητικό πρόσωπο μιας ιδεολογίας και μιας πολιτικής πρακτικής που προκάλεσαν εκατομμύρια θύματα στις χώρες όπου επέβαλαν το καθεστώς τους.
Σήμερα, ορισμένοι από εκείνους που υποστήριξαν τότε την επέμβαση των αρμάτων μάχης και τις εκτελέσεις κάνουν την αυτοκριτική τους και, όπως πάντα, μιλούν για σφάλματα. Αποφεύγουν, ωστόσο, να καταδικάσουν τις ιδέες εκείνες που οδήγησαν και οδηγούν αναπόφευκτα στη δικτατορία και στην καταπίεση. Μόνον η απόρριψη και η απερίφραστη καταδίκη αυτών των ιδεών μπορούν να μας εγγυηθούν ένα μέλλον ελευθερίας. Τιμώντας την τραγωδία της εξέγερσης στην Ουγγαρία, αντιλαμβανόμαστε ακόμη μια φορά πως η Ευρωπαϊκή Ένωση αποτελεί προπύργιο εναντίον κάθε προσβολής της αξιοπρέπειας του ανθρώπου και των λαών.
Υπενθυμίζουμε επίσης ότι, από τη Βόρειο Κορέα και το Ιράν έως την Κούβα, υπάρχουν ακόμη καθεστώτα που ασκούν αυστηρό έλεγχο στη ζωή των πολιτών τους και αντιπροσωπεύουν μια απειλή για τους ελεύθερους λαούς, οι πολλές δικτατορίες που εξακολουθούν να υπάρχουν στον κόσμο, αλλά και κίνδυνοι από τις νέες μορφές φονταμενταλισμού. Η Δύση δεν πρέπει να επιλέξει ποτέ πια τη σιωπή και η Ευρώπη πρέπει να αποτελεί εγγύηση ελευθερίας και δικαιοσύνης."@el10
".
Mr President, ladies and gentlemen, over 2 500 tanks against an unarmed people, 75 000 Red Army soldiers, thousands of victims, over 2 000 people shot by the Kádár government instated by the Soviets, 12 000 prisoners sent to
200 000 refugees: these are a few of the terrifying figures that sum up a nation’s tragedy, but also the beginning of the end for a party and a power which, following the shameful and iniquitous Yalta agreements, dominated half of our continent.
The first signs came in Berlin in 1953, followed by the cry for freedom in Poznań, in Poland, in 1956. Stalin had been dead for three years, but his political successors, despite Khrushchev’s report to the XX Congress of the Communist Party of the Soviet Union in February 1956 denouncing the Georgian dictator's innumerable crimes, used repressive and criminal methods, for fear that power should slip from their hands in Hungary.
The revolt descended into a great tragedy. Imre Nagy’s reformist government was swept aside, and he was assassinated. Only with the fall of Soviet communism could the victims of those years finally be rehabilitated. Referred to by Hungarian communist leaders and the
as a ‘rabble’, in fact, they were and they remain a symbol of human dignity, oppressed by one of the most insensitive and violent dictatorships that history has ever known. This great tragedy must remind us today of the negativity of an ideology and a political practice that left millions of victims in the regions of the world in which the regime was installed.
Some of those who, at the time, defended the use of tanks and the shootings are today reappraising their actions, and, as always, they speak of mistakes. They do not speak, however, of rejecting those ideas that led and inevitably lead to dictatorship and oppression. Only by rejecting and condemning those ideas quite openly can we be guaranteed a future of freedom. Remembering the tragedy of the Hungarian autumn, we appreciate the Union once more as a protector against any humiliation of the dignity of the individual and of peoples.
Furthermore, we recall that there are still regimes that exert an iron grip on the lives of their citizens and that represent a threat to free peoples: the world’s many dictatorships, from North Korea to Iran and Cuba. Yet we also remember the dangers of new forms of fundamentalism. May the West never again choose silence, and may Europe be a champion of freedom and justice."@en4
".
Señor Presidente, Señorías, más de 2 500 tanques contra un pueblo inerme, 75 000 soldados del Ejército Rojo, miles de víctimas, más de 2 000 fusilados por el Gobierno de Kádár, instalado en el poder por los soviéticos, 12 000 presos trasladados al
200 000 refugiados: son algunas de las terribles cifras que resumen la tragedia de una nación, pero también el comienzo del fin de un partido y una potencia que dominaba, a raíz de los vergonzosos e inicuos acuerdos de Yalta, la mitad de nuestro continente.
Los primeros indicios se observaron en Berlín en 1953, seguidos del grito por la libertad en Poznań, en Polonia, en 1956. Stalin había fallecido hacía tres años, pero sus herederos políticos, a pesar del informe de Jrushchof al XX Congreso del Partido Comunista de la Unión Soviética en febrero de 1956, que denunciaba los innumerables crímenes del dictador georgiano, emplearon métodos represivos y criminales por temor a que se les fuese el poder de las manos en Hungría.
La revuelta desembocó en una inmensa tragedia. Cayó el Gobierno reformista de Nagy y este fue asesinado. Solo con la caída del comunismo soviético se rehabilitó por fin a las víctimas de aquellos años, que fueron llamadas «chusma» por los dirigentes comunistas magiares y el
cuando en cambio eran y son el símbolo de la dignidad humana, oprimida por una de las dictaduras más insensibles y violentas que ha conocido la historia. Una inmensa tragedia que nos debe recordar hoy la naturaleza negativa de una ideología y una práctica política que han dejado millones de víctimas en aquellas regiones del mundo en las que instauraron el régimen.
Hoy, algunos de los que entonces defendían las razones de los tanques y los fusilamientos hacen autocrítica y, como siempre, hablan de errores. Sin embargo, omiten hablar del rechazo de aquellas ideas que llevaron y llevan inexorablemente a la dictadura y la opresión. Solo el rechazo y la condena abierta de esas ideas nos garantizan un futuro de libertad. Recordando la tragedia del otoño húngaro, sentimos una vez más la Unión como baluarte contra cualquier humillación de la dignidad del individuo y de los pueblos.
Recordamos además que todavía existen regímenes que ejercen un férreo control sobre la vida de los ciudadanos y que representan una amenaza para los pueblos libres: las numerosas dictaduras que existen en el mundo, desde Corea del Norte hasta Irán y Cuba. Pero recordemos también los peligros de las nuevas formas de fundamentalismo. Que Occidente no opte nunca más por el silencio y que Europa sea garantía de libertad y justicia."@es20
".
Signor Presidente, onorevoli colleghi, più di duemilacinquecento carri armati contro un popolo inerme, settantacinquemila soldati dell'Armata rossa, migliaia di vittime, più di duemila fucilati dal governo di Kadar installato al potere dai sovietici, dodicimila prigionieri avviati ai
duecentomila profughi: sono queste alcune delle terrificanti cifre che sintetizzano la tragedia di una nazione, ma anche l'inizio della fine di un partito e di una potenza che dominava, a seguito degli accordi ignominiosi e sciagurati di Yalta, la metà del nostro continente.
I primi accenni si ebbero a Berlino nel 1953; poi il grido di libertà a Poznań, in Polonia, nel 1956. Stalin era deceduto da tre anni ma i suoi eredi politici, nonostante il rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica nel febbraio del 1956, che denunciava gli innumerevoli crimini del dittatore georgiano, usarono metodi repressivi e delittuosi, nel timore che il potere sfuggisse loro di mano in Ungheria.
La rivolta si dissolse in un'immensa tragedia. Il governo riformista di Nagy fu spazzato via ed egli fu assassinato. Solo con il crollo del comunismo sovietico si poterono finalmente riabilitare le vittime di quegli anni, che furono chiamate "teppaglia" dai dirigenti comunisti magiari e dal
mente invece erano e sono il simbolo della dignità umana, oppressa da una delle dittature più ottuse e violente che la storia abbia conosciuto. Un'immensa tragedia che ci deve ricordare oggi la negatività di un'ideologia e di una prassi politica, che hanno seminato milioni di vittime nelle regioni del mondo in cui hanno instaurato il loro regime.
Oggi, alcuni di coloro che in quegli anni sostennero le ragioni dei carri armati e delle fucilazioni fanno autocritica e, come sempre, parlano di errori. Omettono tuttavia di parlare del rifiuto di quelle idee che portarono e portano inesorabilmente alla dittatura e all'oppressione. Soltanto il rifiuto e la condanna di queste idee, già franche, ci garantisce un avvenire di libertà. Ricordando la tragedia dell'autunno ungherese, sentiamo una volta di più l'Unione come baluardo contro ogni umiliazione della dignità dell'uomo e dei popoli.
Ricordiamo inoltre che esistono ancora regimi che esercitano un ferreo controllo sulla vita dei loro cittadini e che rappresentano una minaccia per i popoli liberi: dalla Corea del Nord all'Iran e a Cuba, le tante dittature che esistono nel mondo ma ricordiamo anche i pericoli di nuovi integralismi. L'Occidente non scelga mai più il silenzio e l'Europa sia garanzia di libertà e giustizia."@et5
".
Arvoisa puhemies, hyvät kollegat, yli 2 500 panssarivaunua aseettomia ihmisiä vastassa, 75 000 puna-armeijan sotilasta, tuhansia uhreja, Neuvostoliiton valtaan asettaman Kádárin hallituksen ampumat yli 2 000 ihmistä, 12 000 pakkotyöleireille lähetettyä ihmistä ja 200 000 pakolaista ovat vain muutamia niistä hirvittävistä luvuista, joihin tiivistyy erään kansakunnan murhenäytelmä. Ne merkitsivät kuitenkin myös lopun alkua puolueelle ja voimatekijälle, joka häpeällisten ja epäoikeudenmukaisten Jaltan sopimusten jälkeen sai valtaansa puolet maanosastamme.
Ensimmäiset merkit saatiin Berliinissä vuonna 1953, ja niitä seurasivat vapauden vaatimukset Puolan Poznańissa vuonna 1956. Stalin oli kuollut kolme vuotta aiemmin, mutta vaikka Hruštševin raportissa Neuvostoliiton kommunistisen puolueen XX puoluekokoukselle tuomittiin georgialaisen diktaattorin lukemattomat rikokset, hänen poliittiset seuraajansa syyllistyivät julmiin laittomuuksiin pelätessään vallan luisuvan käsistään Unkarissa.
Kapina muuttui suureksi murhenäytelmäksi. Imre Nagyn uudistusmielinen hallitus syrjäytettiin ja hänet murhattiin. Vasta neuvostokommunismin romahdettua voitiin noiden vuosien uhrien maine vihdoin palauttaa. Unkarin kommunistijohtajat ja
käyttivät heistä nimitystä "roskajoukko", mutta todellisuudessa he symboloivat tuolloin, ja vielä nykyäänkin, sitä ihmisarvoa, jonka yksi historian julmimmista ja väkivaltaisimmista diktatuureista polki jalkoihinsa. Tämän valtavan murhenäytelmän on muistutettava meitä nykypäivänä siitä vastenmielisestä ideologiasta ja poliittisesta järjestelmästä, joka vaati miljoonia uhreja niillä alueilla, joilla se oli voimassa.
Jotkut niistä, jotka tuolloin puolustivat panssarivaunujen käyttöä ja ampumista, arvioivat nykyään näitä toimia uudelleen ja puhuvat tavalliseen tapaansa virheistä. He eivät kuitenkaan sano hylkäävänsä noita ajatuksia, jotka johtivat tuolloin – ja johtavat väistämättä edelleenkin – diktatuuriin ja sortoon. Vain hylkäämällä ja tuomitsemalla nuo ajatukset avoimesti voimme varmistaa vapaan tulevaisuuden. Muistamalla Unkarin syksyistä murhenäytelmää annamme jälleen kerran arvon unionille, joka suojaa ihmisarvoa ja kansojen kunniaa nöyryytyksiltä.
Muistutamme myös, että jotkut hallitukset pitävät edelleen kansalaistensa elämää rautaisessa otteessa ja uhkaavat kansojen vapautta. Näitä ovat lukuisat diktatuurit Pohjois-Koreasta Iraniin ja Kuubaan. Pidämme kuitenkin mielessä myös uusien fundamentalismin muotojen vaarat. Älköön länsi koskaan enää vaietko, ja saakoon Eurooppa olla vapauden ja oikeudenmukaisuuden esitaistelija."@fi7
".
Monsieur le Président, Mesdames et Messieurs, plus de 2 500 chars contre un peuple désarmé, 75 000 soldats de l’Armée rouge, des milliers de victimes, plus de 2 000 personnes tuées par le gouvernement Kádár installé par les Soviétiques, 12 000 prisonniers envoyés dans les goulags, 200 000 réfugiés: ce ne sont là qu’une partie des chiffres terrifiants qui résument la tragédie de toute une nation, mais aussi le début de la fin pour un parti et un pouvoir qui, à la suite des accords honteux et iniques de Yalta, a dominé la moitié de notre continent.
Les premiers signes sont apparus à Berlin en 1953 et ont été suivis de l’appel à la liberté lancé à Poznań, en Pologne, en 1956. Staline était mort depuis trois ans, mais ses successeurs politiques, malgré le rapport de Khrouchtchev au XXe congrès du parti communiste de l’Union soviétique en février 1956 dénonçant les crimes innombrables du dictateur géorgien, ont utilisé des méthodes répressives et criminelles, de crainte de voir le pouvoir leur échapper en Hongrie.
La révolte s’est transformée en une immense tragédie. Le gouvernement réformateur d’Imre Nagy a été balayé et lui-même assassiné. Ce n’est qu’à la chute du communisme soviétique que les victimes de ces années ont finalement pu être réhabilitées. Qualifiées de «canailles» par les dirigeants communistes hongrois et le
ils étaient et restent en fait un symbole de la dignité humaine, opprimée par une des dictatures les plus insensibles et violentes que l’histoire ait jamais connues. Cette immense tragédie doit nous rappeler aujourd’hui tout le côté négatif d’une idéologie et d’une pratique politique qui ont fait des millions de victimes dans les régions du monde où le régime était installé.
Certaines personnes qui, à l’époque, ont soutenu le recours aux chars et les fusillades réévaluent leurs actes et parlent, comme toujours, d’erreurs. Par contre, ils ne parlent pas de rejeter ces idées qui ont conduit et continuent inévitablement de conduire à la dictature et à l’oppression. Seuls un rejet et une condamnation clairs de ces idées pourront nous garantir un avenir empreint de liberté. En nous souvenant de la tragédie de l’automne hongrois, nous sommes conscients une fois de plus du rôle de protecteur joué par l’Union contre toute atteinte à la dignité des citoyens et des peuples.
Nous nous rappelons en outre que certains régimes dirigent toujours les vies de leurs citoyens d’une main de fer et représentent une menace pour les peuples libres: les nombreuses dictatures de par le monde, de la Corée du Nord à l’Iran, en passant par Cuba. Nous nous rappelons néanmoins aussi les dangers que représentent les nouvelles formes de fondamentalisme. Puisse l’Occident ne plus jamais opter pour le silence et l’Europe devenir une garantie de liberté et de justice."@fr8
".
Signor Presidente, onorevoli colleghi, più di duemilacinquecento carri armati contro un popolo inerme, settantacinquemila soldati dell'Armata rossa, migliaia di vittime, più di duemila fucilati dal governo di Kadar installato al potere dai sovietici, dodicimila prigionieri avviati ai
duecentomila profughi: sono queste alcune delle terrificanti cifre che sintetizzano la tragedia di una nazione, ma anche l'inizio della fine di un partito e di una potenza che dominava, a seguito degli accordi ignominiosi e sciagurati di Yalta, la metà del nostro continente.
I primi accenni si ebbero a Berlino nel 1953; poi il grido di libertà a Poznań, in Polonia, nel 1956. Stalin era deceduto da tre anni ma i suoi eredi politici, nonostante il rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica nel febbraio del 1956, che denunciava gli innumerevoli crimini del dittatore georgiano, usarono metodi repressivi e delittuosi, nel timore che il potere sfuggisse loro di mano in Ungheria.
La rivolta si dissolse in un'immensa tragedia. Il governo riformista di Nagy fu spazzato via ed egli fu assassinato. Solo con il crollo del comunismo sovietico si poterono finalmente riabilitare le vittime di quegli anni, che furono chiamate "teppaglia" dai dirigenti comunisti magiari e dal
mente invece erano e sono il simbolo della dignità umana, oppressa da una delle dittature più ottuse e violente che la storia abbia conosciuto. Un'immensa tragedia che ci deve ricordare oggi la negatività di un'ideologia e di una prassi politica, che hanno seminato milioni di vittime nelle regioni del mondo in cui hanno instaurato il loro regime.
Oggi, alcuni di coloro che in quegli anni sostennero le ragioni dei carri armati e delle fucilazioni fanno autocritica e, come sempre, parlano di errori. Omettono tuttavia di parlare del rifiuto di quelle idee che portarono e portano inesorabilmente alla dittatura e all'oppressione. Soltanto il rifiuto e la condanna di queste idee, già franche, ci garantisce un avvenire di libertà. Ricordando la tragedia dell'autunno ungherese, sentiamo una volta di più l'Unione come baluardo contro ogni umiliazione della dignità dell'uomo e dei popoli.
Ricordiamo inoltre che esistono ancora regimi che esercitano un ferreo controllo sulla vita dei loro cittadini e che rappresentano una minaccia per i popoli liberi: dalla Corea del Nord all'Iran e a Cuba, le tante dittature che esistono nel mondo ma ricordiamo anche i pericoli di nuovi integralismi. L'Occidente non scelga mai più il silenzio e l'Europa sia garanzia di libertà e giustizia."@hu11
".
Signor Presidente, onorevoli colleghi, più di duemilacinquecento carri armati contro un popolo inerme, settantacinquemila soldati dell'Armata rossa, migliaia di vittime, più di duemila fucilati dal governo di Kadar installato al potere dai sovietici, dodicimila prigionieri avviati ai
duecentomila profughi: sono queste alcune delle terrificanti cifre che sintetizzano la tragedia di una nazione, ma anche l'inizio della fine di un partito e di una potenza che dominava, a seguito degli accordi ignominiosi e sciagurati di Yalta, la metà del nostro continente.
I primi accenni si ebbero a Berlino nel 1953; poi il grido di libertà a Poznań, in Polonia, nel 1956. Stalin era deceduto da tre anni ma i suoi eredi politici, nonostante il rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica nel febbraio del 1956, che denunciava gli innumerevoli crimini del dittatore georgiano, usarono metodi repressivi e delittuosi, nel timore che il potere sfuggisse loro di mano in Ungheria.
La rivolta si dissolse in un'immensa tragedia. Il governo riformista di Nagy fu spazzato via ed egli fu assassinato. Solo con il crollo del comunismo sovietico si poterono finalmente riabilitare le vittime di quegli anni, che furono chiamate "teppaglia" dai dirigenti comunisti magiari e dal
mente invece erano e sono il simbolo della dignità umana, oppressa da una delle dittature più ottuse e violente che la storia abbia conosciuto. Un'immensa tragedia che ci deve ricordare oggi la negatività di un'ideologia e di una prassi politica, che hanno seminato milioni di vittime nelle regioni del mondo in cui hanno instaurato il loro regime.
Oggi, alcuni di coloro che in quegli anni sostennero le ragioni dei carri armati e delle fucilazioni fanno autocritica e, come sempre, parlano di errori. Omettono tuttavia di parlare del rifiuto di quelle idee che portarono e portano inesorabilmente alla dittatura e all'oppressione. Soltanto il rifiuto e la condanna di queste idee, già franche, ci garantisce un avvenire di libertà. Ricordando la tragedia dell'autunno ungherese, sentiamo una volta di più l'Unione come baluardo contro ogni umiliazione della dignità dell'uomo e dei popoli.
Ricordiamo inoltre che esistono ancora regimi che esercitano un ferreo controllo sulla vita dei loro cittadini e che rappresentano una minaccia per i popoli liberi: dalla Corea del Nord all'Iran e a Cuba, le tante dittature che esistono nel mondo ma ricordiamo anche i pericoli di nuovi integralismi. L'Occidente non scelga mai più il silenzio e l'Europa sia garanzia di libertà e giustizia."@lt14
".
Signor Presidente, onorevoli colleghi, più di duemilacinquecento carri armati contro un popolo inerme, settantacinquemila soldati dell'Armata rossa, migliaia di vittime, più di duemila fucilati dal governo di Kadar installato al potere dai sovietici, dodicimila prigionieri avviati ai
duecentomila profughi: sono queste alcune delle terrificanti cifre che sintetizzano la tragedia di una nazione, ma anche l'inizio della fine di un partito e di una potenza che dominava, a seguito degli accordi ignominiosi e sciagurati di Yalta, la metà del nostro continente.
I primi accenni si ebbero a Berlino nel 1953; poi il grido di libertà a Poznań, in Polonia, nel 1956. Stalin era deceduto da tre anni ma i suoi eredi politici, nonostante il rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica nel febbraio del 1956, che denunciava gli innumerevoli crimini del dittatore georgiano, usarono metodi repressivi e delittuosi, nel timore che il potere sfuggisse loro di mano in Ungheria.
La rivolta si dissolse in un'immensa tragedia. Il governo riformista di Nagy fu spazzato via ed egli fu assassinato. Solo con il crollo del comunismo sovietico si poterono finalmente riabilitare le vittime di quegli anni, che furono chiamate "teppaglia" dai dirigenti comunisti magiari e dal
mente invece erano e sono il simbolo della dignità umana, oppressa da una delle dittature più ottuse e violente che la storia abbia conosciuto. Un'immensa tragedia che ci deve ricordare oggi la negatività di un'ideologia e di una prassi politica, che hanno seminato milioni di vittime nelle regioni del mondo in cui hanno instaurato il loro regime.
Oggi, alcuni di coloro che in quegli anni sostennero le ragioni dei carri armati e delle fucilazioni fanno autocritica e, come sempre, parlano di errori. Omettono tuttavia di parlare del rifiuto di quelle idee che portarono e portano inesorabilmente alla dittatura e all'oppressione. Soltanto il rifiuto e la condanna di queste idee, già franche, ci garantisce un avvenire di libertà. Ricordando la tragedia dell'autunno ungherese, sentiamo una volta di più l'Unione come baluardo contro ogni umiliazione della dignità dell'uomo e dei popoli.
Ricordiamo inoltre che esistono ancora regimi che esercitano un ferreo controllo sulla vita dei loro cittadini e che rappresentano una minaccia per i popoli liberi: dalla Corea del Nord all'Iran e a Cuba, le tante dittature che esistono nel mondo ma ricordiamo anche i pericoli di nuovi integralismi. L'Occidente non scelga mai più il silenzio e l'Europa sia garanzia di libertà e giustizia."@lv13
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Signor Presidente, onorevoli colleghi, più di duemilacinquecento carri armati contro un popolo inerme, settantacinquemila soldati dell'Armata rossa, migliaia di vittime, più di duemila fucilati dal governo di Kadar installato al potere dai sovietici, dodicimila prigionieri avviati ai
duecentomila profughi: sono queste alcune delle terrificanti cifre che sintetizzano la tragedia di una nazione, ma anche l'inizio della fine di un partito e di una potenza che dominava, a seguito degli accordi ignominiosi e sciagurati di Yalta, la metà del nostro continente.
I primi accenni si ebbero a Berlino nel 1953; poi il grido di libertà a Poznań, in Polonia, nel 1956. Stalin era deceduto da tre anni ma i suoi eredi politici, nonostante il rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica nel febbraio del 1956, che denunciava gli innumerevoli crimini del dittatore georgiano, usarono metodi repressivi e delittuosi, nel timore che il potere sfuggisse loro di mano in Ungheria.
La rivolta si dissolse in un'immensa tragedia. Il governo riformista di Nagy fu spazzato via ed egli fu assassinato. Solo con il crollo del comunismo sovietico si poterono finalmente riabilitare le vittime di quegli anni, che furono chiamate "teppaglia" dai dirigenti comunisti magiari e dal
mente invece erano e sono il simbolo della dignità umana, oppressa da una delle dittature più ottuse e violente che la storia abbia conosciuto. Un'immensa tragedia che ci deve ricordare oggi la negatività di un'ideologia e di una prassi politica, che hanno seminato milioni di vittime nelle regioni del mondo in cui hanno instaurato il loro regime.
Oggi, alcuni di coloro che in quegli anni sostennero le ragioni dei carri armati e delle fucilazioni fanno autocritica e, come sempre, parlano di errori. Omettono tuttavia di parlare del rifiuto di quelle idee che portarono e portano inesorabilmente alla dittatura e all'oppressione. Soltanto il rifiuto e la condanna di queste idee, già franche, ci garantisce un avvenire di libertà. Ricordando la tragedia dell'autunno ungherese, sentiamo una volta di più l'Unione come baluardo contro ogni umiliazione della dignità dell'uomo e dei popoli.
Ricordiamo inoltre che esistono ancora regimi che esercitano un ferreo controllo sulla vita dei loro cittadini e che rappresentano una minaccia per i popoli liberi: dalla Corea del Nord all'Iran e a Cuba, le tante dittature che esistono nel mondo ma ricordiamo anche i pericoli di nuovi integralismi. L'Occidente non scelga mai più il silenzio e l'Europa sia garanzia di libertà e giustizia."@mt15
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Mijnheer de Voorzitter, dames en heren, meer dan 2 500 tanks tegenover een weerloze bevolking, 75 000 soldaten van het Rode Leger, duizenden slachtoffers, meer dan 2 000 mensen die geëxecuteerd zijn door de regering Kádár die door de Sovjets was geïnstalleerd, 12 000 gevangenen die naar de goelags zijn gestuurd, 200 000 vluchtelingen: dit zijn slechts enkele van de schrikbarende cijfers die de tragedie van een natie samenvatten, maar ook het begin van het einde van een partij en een macht die over ons halve continent heersten, als gevolg van de schandalige en onrechtvaardige akkoorden van Jalta.
De eerste tekenen kwamen uit Berlijn in 1953, gevolgd door de schreeuw om vrijheid in Poznań, Polen, in 1956. Stalin was al drie jaar dood, maar zijn politieke opvolgers gebruikten – ondanks het verslag van Chroesjtsjov aan het twintigste congres van de Communistische Partij van de Sovjet-Unie in februari 1956, waarin de ontelbare misdaden van de Georgische dictator aan de kaak werden gesteld – repressieve en strafbare methoden, uit angst dat de macht in Hongarije hun zou ontglippen.
De opstand liep uit op een immense tragedie. De reformistische regering van Imre Nagy werd resoluut weggestuurd en hij werd zelf vermoord. Pas na de val van het communistische Sovjetregime konden de slachtoffers van de voorgaande jaren eindelijk gerehabiliteerd worden. Zij werden door de Hongaarse communistische leiders en de
“gepeupel” genoemd, terwijl ze eigenlijk symbool stonden en nog steeds staan voor menselijke waardigheid, onderdrukt door een van de meest gevoelloze en gewelddadige dictaturen die ooit in de geschiedenis heeft bestaan. Deze immense tragedie moet ons vandaag de dag doen stilstaan bij de negativiteit van een ideologie en een politieke praktijk die miljoenen slachtoffers hebben gemaakt in die gebieden ter wereld waar dit regime heeft geheerst.
Tegenwoordig nemen sommigen, die destijds voorstanders waren van de inzet van tanks en executies, hun acties opnieuw onder de loep en spreken ze, zoals altijd gebeurt, over fouten. Ze hebben het echter niet over de verwerping van deze ideeën die onverbiddelijk tot dictatuur en onderdrukking hebben geleid en leiden. Alleen wanneer we deze ideeën openlijk verwerpen en veroordelen, zijn we verzekerd van een toekomst in vrijheid. Wanneer we de tragedie van de Hongaarse herfst herdenken, zijn wij ons er opnieuw van bewust dat de Unie een bolwerk vormt tegen iedere vorm van vernedering van de waardigheid van het individu en van volken.
Verder houden we in gedachten dat er nog steeds regimes bestaan die de levens van hun burgers in een houdgreep houden en die een bedreiging vormen voor vrije volken: de vele dictaturen ter wereld, van Noord-Korea tot Iran en Cuba. Daarnaast denken we echter ook aan de gevaren van nieuwe vormen van fundamentalisme. Moge het Westen nooit meer voor stilte kiezen en moge Europa een voorvechter van vrijheid en rechtvaardigheid zijn."@nl3
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Signor Presidente, onorevoli colleghi, più di duemilacinquecento carri armati contro un popolo inerme, settantacinquemila soldati dell'Armata rossa, migliaia di vittime, più di duemila fucilati dal governo di Kadar installato al potere dai sovietici, dodicimila prigionieri avviati ai
duecentomila profughi: sono queste alcune delle terrificanti cifre che sintetizzano la tragedia di una nazione, ma anche l'inizio della fine di un partito e di una potenza che dominava, a seguito degli accordi ignominiosi e sciagurati di Yalta, la metà del nostro continente.
I primi accenni si ebbero a Berlino nel 1953; poi il grido di libertà a Poznań, in Polonia, nel 1956. Stalin era deceduto da tre anni ma i suoi eredi politici, nonostante il rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica nel febbraio del 1956, che denunciava gli innumerevoli crimini del dittatore georgiano, usarono metodi repressivi e delittuosi, nel timore che il potere sfuggisse loro di mano in Ungheria.
La rivolta si dissolse in un'immensa tragedia. Il governo riformista di Nagy fu spazzato via ed egli fu assassinato. Solo con il crollo del comunismo sovietico si poterono finalmente riabilitare le vittime di quegli anni, che furono chiamate "teppaglia" dai dirigenti comunisti magiari e dal
mente invece erano e sono il simbolo della dignità umana, oppressa da una delle dittature più ottuse e violente che la storia abbia conosciuto. Un'immensa tragedia che ci deve ricordare oggi la negatività di un'ideologia e di una prassi politica, che hanno seminato milioni di vittime nelle regioni del mondo in cui hanno instaurato il loro regime.
Oggi, alcuni di coloro che in quegli anni sostennero le ragioni dei carri armati e delle fucilazioni fanno autocritica e, come sempre, parlano di errori. Omettono tuttavia di parlare del rifiuto di quelle idee che portarono e portano inesorabilmente alla dittatura e all'oppressione. Soltanto il rifiuto e la condanna di queste idee, già franche, ci garantisce un avvenire di libertà. Ricordando la tragedia dell'autunno ungherese, sentiamo una volta di più l'Unione come baluardo contro ogni umiliazione della dignità dell'uomo e dei popoli.
Ricordiamo inoltre che esistono ancora regimi che esercitano un ferreo controllo sulla vita dei loro cittadini e che rappresentano una minaccia per i popoli liberi: dalla Corea del Nord all'Iran e a Cuba, le tante dittature che esistono nel mondo ma ricordiamo anche i pericoli di nuovi integralismi. L'Occidente non scelga mai più il silenzio e l'Europa sia garanzia di libertà e giustizia."@pl16
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Senhor Presidente, Senhoras e Senhores Deputados, mais de 2 500 tanques investindo contra um povo desarmado, 75 000 soldados do Exército Vermelho, milhares de vítimas, mais de 2 000 pessoas fuziladas pelo Governo de Kádár instalado no poder pelos Sovietes, 12 000 presos enviados para
200 000 refugiados: são estes alguns dos números aterradores que constituem a tragédia de uma nação, mas também o início do fim de um partido e de uma potência que dominou, na sequência dos acordos vergonhosos e injustos de Yalta, metade do nosso continente.
Os primeiros sinais surgiram em Berlim em 1953 e foram seguidos pelo grito de liberdade em Poznań, na Polónia, em 1956. Estaline tinha morrido há três anos, mas os seus sucessores políticos, apesar do relatório apresentado por Khrushchev ao XX Congresso do Partido Comunista da União Soviética, em Fevereiro de 1956, denunciando os inúmeros crimes do ditador da Geórgia, recorreram a métodos repressivos e criminosos, por receio de que o poder lhes fugisse das mãos na Hungria.
O levantamento culminou numa enorme tragédia. O Governo reformista de Imre Nagy foi afastado e este foi assassinado. Só com a queda do comunismo soviético é que as vítimas desses anos foram finalmente reabilitadas. Consideradas “escumalha” pelos dirigentes comunistas e pelo
foram, na verdade, e continuam a ser um símbolo de dignidade humana, oprimida por uma das mais insensíveis e violentas ditaduras que a História alguma vez conheceu. Esta enorme tragédia deve hoje lembrar-nos a nocividade de uma ideologia e prática políticas que fizeram milhões de vítimas nas regiões do mundo onde se instalaram no poder.
Alguns dos que, naquele tempo, defenderam a utilização dos tanques e dos fuzilamentos, hoje penitenciam-se, porém, como sempre, falam de erros cometidos. Esquecem-se, no entanto, de rejeitar aquelas ideias que conduziram e continuam a conduzir, inevitavelmente, à ditadura e à opressão. Só rejeitando e condenado esses ideais de forma bastante aberta poderemos garantir um futuro de liberdade. Recordando a tragédia do Outono húngaro, voltamos a sentir que a União é um baluarte contra todas as humilhações da dignidade da pessoa humana e dos povos.
Para além disso, recordamos que continuam a existir regimes que controlam com mão de ferro as vidas dos seus cidadãos e que representam uma ameaça para os povos livres: muitas das ditaduras do mundo, da Coreia do Norte ao Irão e a Cuba. No entanto, é preciso que não esqueçamos também os perigos das novas formas de fundamentalismo. Que o Ocidente jamais volte a optar pelo silêncio e que a Europa seja sempre garantia de liberdade e de Justiça."@pt17
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Signor Presidente, onorevoli colleghi, più di duemilacinquecento carri armati contro un popolo inerme, settantacinquemila soldati dell'Armata rossa, migliaia di vittime, più di duemila fucilati dal governo di Kadar installato al potere dai sovietici, dodicimila prigionieri avviati ai
duecentomila profughi: sono queste alcune delle terrificanti cifre che sintetizzano la tragedia di una nazione, ma anche l'inizio della fine di un partito e di una potenza che dominava, a seguito degli accordi ignominiosi e sciagurati di Yalta, la metà del nostro continente.
I primi accenni si ebbero a Berlino nel 1953; poi il grido di libertà a Poznań, in Polonia, nel 1956. Stalin era deceduto da tre anni ma i suoi eredi politici, nonostante il rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica nel febbraio del 1956, che denunciava gli innumerevoli crimini del dittatore georgiano, usarono metodi repressivi e delittuosi, nel timore che il potere sfuggisse loro di mano in Ungheria.
La rivolta si dissolse in un'immensa tragedia. Il governo riformista di Nagy fu spazzato via ed egli fu assassinato. Solo con il crollo del comunismo sovietico si poterono finalmente riabilitare le vittime di quegli anni, che furono chiamate "teppaglia" dai dirigenti comunisti magiari e dal
mente invece erano e sono il simbolo della dignità umana, oppressa da una delle dittature più ottuse e violente che la storia abbia conosciuto. Un'immensa tragedia che ci deve ricordare oggi la negatività di un'ideologia e di una prassi politica, che hanno seminato milioni di vittime nelle regioni del mondo in cui hanno instaurato il loro regime.
Oggi, alcuni di coloro che in quegli anni sostennero le ragioni dei carri armati e delle fucilazioni fanno autocritica e, come sempre, parlano di errori. Omettono tuttavia di parlare del rifiuto di quelle idee che portarono e portano inesorabilmente alla dittatura e all'oppressione. Soltanto il rifiuto e la condanna di queste idee, già franche, ci garantisce un avvenire di libertà. Ricordando la tragedia dell'autunno ungherese, sentiamo una volta di più l'Unione come baluardo contro ogni umiliazione della dignità dell'uomo e dei popoli.
Ricordiamo inoltre che esistono ancora regimi che esercitano un ferreo controllo sulla vita dei loro cittadini e che rappresentano una minaccia per i popoli liberi: dalla Corea del Nord all'Iran e a Cuba, le tante dittature che esistono nel mondo ma ricordiamo anche i pericoli di nuovi integralismi. L'Occidente non scelga mai più il silenzio e l'Europa sia garanzia di libertà e giustizia."@sk18
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Signor Presidente, onorevoli colleghi, più di duemilacinquecento carri armati contro un popolo inerme, settantacinquemila soldati dell'Armata rossa, migliaia di vittime, più di duemila fucilati dal governo di Kadar installato al potere dai sovietici, dodicimila prigionieri avviati ai
duecentomila profughi: sono queste alcune delle terrificanti cifre che sintetizzano la tragedia di una nazione, ma anche l'inizio della fine di un partito e di una potenza che dominava, a seguito degli accordi ignominiosi e sciagurati di Yalta, la metà del nostro continente.
I primi accenni si ebbero a Berlino nel 1953; poi il grido di libertà a Poznań, in Polonia, nel 1956. Stalin era deceduto da tre anni ma i suoi eredi politici, nonostante il rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica nel febbraio del 1956, che denunciava gli innumerevoli crimini del dittatore georgiano, usarono metodi repressivi e delittuosi, nel timore che il potere sfuggisse loro di mano in Ungheria.
La rivolta si dissolse in un'immensa tragedia. Il governo riformista di Nagy fu spazzato via ed egli fu assassinato. Solo con il crollo del comunismo sovietico si poterono finalmente riabilitare le vittime di quegli anni, che furono chiamate "teppaglia" dai dirigenti comunisti magiari e dal
mente invece erano e sono il simbolo della dignità umana, oppressa da una delle dittature più ottuse e violente che la storia abbia conosciuto. Un'immensa tragedia che ci deve ricordare oggi la negatività di un'ideologia e di una prassi politica, che hanno seminato milioni di vittime nelle regioni del mondo in cui hanno instaurato il loro regime.
Oggi, alcuni di coloro che in quegli anni sostennero le ragioni dei carri armati e delle fucilazioni fanno autocritica e, come sempre, parlano di errori. Omettono tuttavia di parlare del rifiuto di quelle idee che portarono e portano inesorabilmente alla dittatura e all'oppressione. Soltanto il rifiuto e la condanna di queste idee, già franche, ci garantisce un avvenire di libertà. Ricordando la tragedia dell'autunno ungherese, sentiamo una volta di più l'Unione come baluardo contro ogni umiliazione della dignità dell'uomo e dei popoli.
Ricordiamo inoltre che esistono ancora regimi che esercitano un ferreo controllo sulla vita dei loro cittadini e che rappresentano una minaccia per i popoli liberi: dalla Corea del Nord all'Iran e a Cuba, le tante dittature che esistono nel mondo ma ricordiamo anche i pericoli di nuovi integralismi. L'Occidente non scelga mai più il silenzio e l'Europa sia garanzia di libertà e giustizia."@sl19
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Herr talman, mina damer och herrar! Över 2 500 stridsvagnar mot ett obeväpnat folk, 75 000 soldater i Röda armén, tusentals offer, mer än 2 000 människor skjutna av Kádárregeringen som installerades av sovjeterna, 12 000 fångar som sändes till gulag, 200 000 flyktingar: detta är några av de skrämmande siffror som summerar en nations tragedi, men också början på slutet för ett parti och en makt som, enligt de skamliga och orättfärdiga Jaltaavtalen, dominerade halva vår kontinent.
Man såg de första tecknen i Berlin 1953, följt av ropet på frihet i Poznań, i Polen, 1956. Stalin hade varit död i tre år, men hans politiska efterträdare utnyttjade förtryckande och brottsliga metoder, av rädsla för att makten skulle glida dem ur händerna i Ungern, med undantag av Nikita Chrusjtjovs rapport till det sovjetiska kommunistpartiets tjugonde kongress i februari 1956, i vilken den georgiska diktatorns oräkneliga brott fördömdes.
Upproret förbyttes i en ofantlig tragedi. Imre Nagys reformistiska regering sveptes bort, och han mördades. Först vid den sovjetiska kommunismens fall kunde offren från dessa år äntligen få återupprättelse. Ungerska kommunistledare och
kallade dem för ”slödder”, egentligen var de, och de förblir, en symbol för mänsklig värdighet, förtryckta av en av de mest okänsliga och våldsamma diktaturer som historien någonsin har erfarit. Denna stora tragedi måste i dag påminna oss om en ideologis negativitet och en politisk praxis som lämnade efter sig miljontals offer i de regioner i världen där regimen infördes.
Vissa av dem som på den tiden försvarade användningen av stridsvagnar och beskjutningar omvärderar i dag sina gärningar, och som alltid talar de om misstag. De talar emellertid inte om att förneka dessa idéer som ledde och som oundvikligen leder till diktatur och förtryck. Det är bara genom att förneka och fördöma dessa idéer helt öppet som vi kan garantera en framtid av frihet. Genom att hedra tragedin från den ungerska hösten ger vi ännu en gång unionen uppskattning som beskyddare mot all förnedring av individens och dessa människors värdighet.
Dessutom påminner vi om att det fortfarande finns regimer som håller sina medborgares liv i ett järngrepp och som utgör ett hot mot fria människor: världens många diktaturer, från Nordkorea till Iran och Kuba. Då minns vi också farorna med nya former av fundamentalism. Må aldrig västvärlden välja tystnaden igen, och låt Europa vara en förkämpe för frihet och rättvisa."@sv21
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lpv:unclassifiedMetadata |
"Cristiana Muscardini,"5,19,15,1,18,14,16,11,13,12
"Kominform"5,19,15,1,18,14,16,11,21,7,3,13,20,4,17,12,8
"a nome del gruppo UEN"5,19,15,1,18,14,16,11,13,12
"gulag"5,19,15,1,18,14,16,11,13,12
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